Fast food e sostenibilità, si può fare di più

Un studio congiunto di FAIRR e Ceres sulle sei più importanti catene ha messo in evidenza grandi miglioramenti, anche se la strada è ancora lunga
Fast food e sostenibilità, si può fare di più

McDonald’s, Chipotle, Domino’s, Wendy’s, Burger King e Yum! Brands, (KFC, Pizza Hut e Taco Bell) sono state le sei catene di fast food oggetto di uno studio nella sostenibilità che ha mostrato risultati piuttosto incoraggianti.

IMPEGNO SOCIALE E AMBIENTALE

Promotori dello studio sono stati, in forma congiunta, FAIRR, un network di investitori focalizzati nella ESG (Environmental, Social and Corporate Governance) con un totale di 38 trilioni di dollari di asset in gestione e Ceres, una rete composta da 195 investitori istituzionali con un focus particolare sui cambiamenti climatici, che gestisce asset per 37 trilioni di dollari.

MANCA ALL’APPELLO SOLO BURGER KING

Lo studio, lanciato a gennaio 2019, aveva evidenziato dopo il primo anno che solo McDonald’s aveva intrapreso azioni concrete su basi scientifiche per ridurre le emissioni.

Già dopo il secondo anno la situazione è notevolmente migliorata. Attualmente infatti, pare che manchi all’appello solo Burger King, che ha comunque annunciato che un piano di riduzione delle emissioni a livello globale, resta solo da capire quando, mentre gli altri quattro format negli ultimi mesi hanno lanciato diverse iniziative per ridurre l’impatto ambientale delle filiere e dei punti vendita

MA LA STRADA È ANCORA LUNGA

Nel loro rapporto, FAIRR e Ceres hanno comunque affermato che le sei società non soddisfano le raccomandazioni sull’informativa finanziaria aziendale relative al clima sviluppate dalla Task Force on Climate-Related Financial Disclosures (TCFD).

Il rapporto afferma che ci sono stati “progressi limitati” nell’analisi del rischio climatico allineata al TCFD da parte di tutti e sei i marchi, descrivendo la situazione come “preoccupante” per gli investitori “dato che le società del Regno Unito saranno legalmente obbligate a fare rapporto alla sopracitata TCFD entro il 2025” e anche negli Usa si è iniziato a valutare di inserire regolamentazioni simili.

Allo stesso modo, mentre tutti e sei i brand ora riconoscono la rilevanza dei rischi idrici per le loro catene di approvvigionamento“, la metà di loro non ha rivelato alcuna valutazione di tali rischi, afferma il rapporto. Gli sforzi per ridurre l’uso dell’acqua nella catena di approvvigionamento e l’inquinamento idrico sono stati “limitati in scala e portata“, stabilisce il rapporto.

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