Bun scommette (quasi) tutto sul delivery

Il nuovo brand di hamburger punta sulle ghost kitchen e sulle consegne a domicilio. E pianifica tre nuove aperture a Milano nel tempo del Covid. Il ceo: “Ripensiamo l’experience del cliente”

Il Covid come opportunità. Delivery e digital al centro di una nuova strategia di business e non una mera risposta alla contingenza del lockdown. È la visione dell’hamburgeria Bun, ieri polo fisico nel Centro commerciale di Arese – dove ha aperto nel dicembre 2019 – oggi sempre più convinta che il futuro prossimo della ristorazione passi da ghost kitchen e consegne a domicilio dopo il successo avuto aderendo alla cook room messa in piedi da Glovo a Milano, uno spazio riservato a chef e rider condivisa con realtà radicate sulla scena milanese come Tomatillo, Pacifik Poke e Pescaria. “L’emergenza sanitaria ci ha spinto a testare il delivery su Milano in tempi più rapidi di quelli che avevamo in mente”, ci racconta Danilo Gasparrini, ceo di Bun, “ora abbiamo in programma di aprire altre due o tre location entro la fine del 2020 a Milano, spazi pensati prima di tutto per il delivery e solo successivamente adattabili a un’attività di somministrazione”.

Danilo Gasparrini, Ceo di Bun

Avete scelto di fare un percorso inverso rispetto a quello che sta facendo la maggior parte degli operatori dell’away from home. Perché?

“Abbiamo sempre avuto un’anima digital. Il risultato su Milano è stato incoraggiante. Abbiamo replicato col delivery lo stesso fatturato che facevamo nella location fisica ad Arese, che era partita subito molto bene. Questo ci ha spinto a mettere questo modello al centro della nostra strategia perché pensiamo che quello in cui ci troviamo ora sarà lo scenario con cui avremo a che fare per i prossimi 12-18 mesi”.

Questo però comporta un ripensamento del business e della customer experience

“Esattamente. Delivery e digital sono le parole d’ordine. Stiamo facendo scelte importanti in direzione dell’ambito tecnologico e in particolare nel campo dell’advertising. Perché il delivery funziona se il brand è conosciuto. E noi, che siamo un brand nuovo, stiamo facendo numeri significativi proprio grazie a massicci investimenti in questa direzione. Tutto questo in un momento di estrema difficoltà del mercato”.

Su cosa si basa questa comunicazione? Sul web e i social network?

“Utilizziamo attività di influencer marketing e social advertising per essere interessanti agli occhi dei nostri consumatori-tipo, principalmente i ragazzi della Generazione Z”.

Anche il packaging è elemento strategico per la comunicazione?

“Infatti lo stiamo ripensando completamente per renderlo distintivo. Originale. Connotante. È quello che ci distingue dal competitor X o Y. Oltre naturalmente alla qualità del prodotto per cui abbiamo una cura maniacale. Il pane lo facciamo arrivare dagli Stati Uniti e nel menù puntiamo molto sul beyond meat, la versione vegetale e 100% proteica dell’hamburger. Non abbiamo solo un panino, ma un’intero menù vegetariano”.

Una struttura più snella e più digital oriented quali altri vantaggi offre?

“Ci permette di accelerare i processi decisionali. Ad esempio, come abbiamo fatto, possiamo testare la ricettività della clientela alle novità in tempi molto più rapidi. In tre giorni abbiamo introdotto in menù un nuovo panino, verificato l’interesse sul web e deciso di inserirlo stabilmente in carta. Tutto questo è impossibile senza un’anima digital”.

Il delivery lo fate in autonomia o vi affidate a una piattaforma?

“Ora abbiamo una partnership con Glovo. Ma stiamo valutando la possibilità di introdurre un approccio diretto. Bisogna fare marketing all’interno delle piattaforme, per risultare tra i primi nelle ricerche dei clienti, ma anche all’esterno delle piattaforme, per essere riconoscibili”.

Quando si tornerà alla normalità il delivery avrà però ancora un ruolo così centrale?

“La cosa fondamentale è relazionarsi col cliente in modo smart. Oggi la sua esperienza da noi si basa sul delivery perché rappresenta la soluzione più funzionale alla situazione. Poi un business esclusivamente basato sul delivery non potrà stare in piedi da solo, specie se implementato con intermediari che erodono i margini. Quindi sarà diviso tra store, consegna e take away. Noi abbiamo il compito di stimolare il cliente ovunque si trovi. Oggi a domicilio, domani lontano da casa”.

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