Surgelati nel fuori casa, il 2021 è stato l’anno della svolta

L'indagine dell'Istituto italiano alimenti surgelati mostra i dati sulla crescita del 2021, ma anche i trend futuri del comparto da tenere d'occhio. E pone interrogativi sull'obbligo di segnalazione
Surgelati nel fuori casa, il 2021 è stato l’anno della svolta

Che il 2021 sia stato un anno complesso per la ristorazione italiana è risaputo. Il mantenimento delle misure restrittive per quasi tutto il primo semestre ha gravato sulla possibilità di riassorbire le pesanti perdite di fatturato messe a segno nel 2020, sebbene i consumi alimentari fuori casa abbiano realizzato un +20% a valore (65 miliardi di euro contro i 54 del 2020).

Di questo trend hanno beneficiato anche i prodotti surgelati, che hanno registrato un aumento dei consumi pari al +19,6% a volume, attestandosi a 240 mila tonnellate e tornando a ricoprire il ruolo di elemento-alimento sempre più centrale nelle scelte di offerta della ristorazione collettiva.

SCELTI DA NOVE ITALIANI SU 10

Non a caso, più di nove italiani su 10 portano ormai solitamente sulle proprie tavole i surgelati, entrati a far parte della dieta alimentare dei nostri connazionali, che li apprezzano per la praticità, la sicurezza, la trasparenza delle informazioni in etichetta, le proprietà nutrizionali pressoché analoghe a quelle dei prodotti freschi, la possibilità che offrono di variare spesso il menù e la capacità di ridurre gli sprechi.

I prodotti surgelati “, commenta Giorgio Donegani, presidente dell’Istituto italiano alimenti surgelati, fanno ormai pienamente parte delle abitudini alimentari degli Italiani e non si capisce perché, nella ristorazione, sia necessario segnalare la presenza di un ingrediente/alimento sottozero, quasi ad indicare che ciò significhi una qualità inferiore rispetto a un alimento fresco. E invece, oggi i surgelati sono buoni, nutrienti e sicuri quanto e a volte più di qualsiasi altro tipo di alimento, grazie a un processo produttivo tecnologicamente all’avanguardia, che fa raggiungere rapidamente alla materia prima fresca la temperatura di -18° C e mantiene in questo modo al meglio le sue qualità organolettiche e nutrizionali. Perciò, può davvero l’asterisco essere lo strumento più adeguato a tutelare una scelta informata e consapevole del consumatore, o invece rischia solo di fornire un’accezione negativa e fuorviante di un prodotto alimentare di assoluta qualità?”.

ANACRONOSTICO L’OBBLIGO DELL’ASTERISCO

Sulla risposta a questa domanda non ha dubbi la Federazione italiana pubblici esercizi, secondo cui “l’obbligo dell’asterisco sui menù è il frutto di un’interpretazione del tutto anacronistica, rimasta ancorata a schemi passati e a modelli di consumo superati, che non riesce a comprendere come le tecniche di congelamento/surgelazione si siano evolute nel tempo, garantendo oggi una qualità e una salubrità perfino superiori al prodotto trattato come frescoIl consumatore di oggi ha conoscenze, esperienze e un accesso alle informazioni talmente rafforzato che non ha bisogno di un asterisco protettivo per essere garantito sui propri consumi”.

Lo stesso pregiudizio verso i surgelati, ampiamente superato dagli Italiani ma non dal legislatore, si ritrova nei nuovi criteri ambientali minimi (Cam) per il servizio di ristorazione pubblica. La normativa, infatti, continua a limitare fortemente, senza alcuna base scientifica, la tipologia degli alimenti surgelati ammessi nella refezione pubblica, anche scolastica, consentendo il consumo esclusivamente di quattro prodotti vegetali – piselli, fagiolini, spinaci e bietole – e di prodotti ittici selezionati in base all’area di pesca (sono ammessi solo quelli provenienti dalle zone geograficamente più vicine all’Italia: Mediterraneo, Mar Nero, Atlantico Nord-Orientale e Mar Baltico). 

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