Dpcm anti Covid, la ristorazione si ribella

Coro di protesta di imprenditori e chef stellati contro le misure decise dal Governo. Fipe: «Un danno da 2,7 miliardi». Romito: «È l’ultima cena». La Mantia: «Siamo sempre noi il bersaglio»

Un secondo “lockdown” che rischia di essere la tempesta perfetta per il Fuoricasa, ma la ristorazione questa volta non ci sta proprio mentre il settore stava cercando faticosamente di rialzarsi, il nuovo Dpcm firmato dal premier Giuseppe Conte potrebbe scrivere la parola fine a tante realtà imprenditoriali, anche quelle con una lunga storia alle spalle. Un ulteriore stop che arriva dopo i tanti investimenti sostenuti per adeguare locali e formare il personale al rispetto delle nuove norme di sicurezza. Costi insostenibili con gli introiti dimezzati da limitazioni sempre più rigide.

LE MISURE: STOP ALLE 18 E MASSIMO IN 4 PER TAVOLO

In dettaglio: fino almeno al 24 novembre bar, gelaterie pasticcerie e ristoranti, comprese le strutture agrituristiche, possono rimanere aperti dalle 5 alle 18, tutti i giorni. La possibilità di aprire a pranzo anche domenica e festivi è stata concessa dopo un lungo braccio di ferro con le Regioni ed era stata inizialmente esclusa. Dopo le 18 potranno proseguire soltanto i servizi di delivery senza limiti di orario e il take away fino alle ore 24. Ai tavoli dei ristoranti potranno sedere al massimo 4 persone, salvo che si tratti di nuclei familiari più numerosi, quindi tutti conviventi. Inoltre, è obbligatorio nei locali pubblici e aperti al pubblico, nonché in tutti gli esercizi commerciali, esporre all’ingresso un cartello che riporti il numero massimo di persone ammesse. Stesse limitazioni di orario anche per il consumo all’aperto di cibi e bevande. Sono state escluse dai provvedimenti mense e catering, gli esercizi di somministrazione nelle aree di servizio lungo le autostrade, negli ospedali e negli aeroporti.

FIPE: «UN DANNO DA 2,7 MILIARDI»

Se a marzo, di fronte alle misure di contenimento della pandemia, avevano prevalso la resilienza e l’adattabilità al nuovo imprevedibile scenario, l’ennesima mazzata ha scatenato oggi reazioni di tono decisamente diverso. «Le nuove restrizioni imposte sono insostenibili e costeranno altri 2,7 miliardi di euro alle imprese della ristorazione», è la dura posizione espressa da Fipe-Confcommercio. La Federazione Italia Pubblici Esercizi ha promosso per mercoledì 28 ottobre alle 11.30 una mobilitazione in 11 città italiane (Firenze, Milano, Roma, Verona, Trento, Torino, Bologna, Napoli, Cagliari, Palermo, Bergamo) con l’hashtag #siamoaterra. L’obiettivo è ricordare il valore economico e sociale del settore e chiedere alla politica un aiuto per non morire: «Le restrizioni devono essere accompagnate dai provvedimenti di ristoro economico in termini di indennizzi a fondo perduto, crediti d’imposta per le locazioni commerciali e gli affitti d’azienda, nuove moratorie fiscali e creditizie, il prolungamento degli ammortizzatori sociali e altri provvedimento di sostegno a valere sulla tassazione locale».

ALAJMO: «PRIMA L’ELEMOSINA E ORA CI RICHIUDETE»

Di tono non certo più morbido sono state le tante dichiarazioni piovute dai protagonisti del settore. Raffaele Alajmo, de Le Calandre di Rubano (Padova) ha lanciato l’hashtag #nonècolpanostra accompagnandolo con parole durissime: «Ci avete chiuso e non ci avete aiutato. Per continuare ci siamo indebitati. Ci avete fatto ridurre i posti a sedere e attenerci a una serie di norme igienico sanitarie pari ai presidi medici senza un minimo contributo. I nostri dipendenti hanno ricevuto a singhiozzo qualche elemosina che voi chiamate cassa integrazione…e ora ci richiudete. Volete capirlo che non è colpa nostra?».

ANCHE BOTTURA E CANNAVACCIUOLO SUL PIEDE DI GUERRA

«Ci penalizzano per negligenze altrui», gli ha fatto eco Massimo Bottura, titolare dell’Osteria Francescana di Modena. Sul piede di guerra anche Antonino Cannavacciuolo, del Villa Crespi di Orta San Giulio (Novara): «Abbiamo fatto tutto per riaprire in sicurezza», ha detto a Cook, il mensile di cucina del Corriere della Sera, «e ora rischiamo di dover chiudere un’altra volta. Per l’impegno che ci abbiamo messo non ce lo meritiamo».

“L’ULTIMA CENA” DI ROMITO

«I ristoratori che hanno rispettato le regole avrebbero il diritto di lavorare», rincara la dose Max Mascia chef del ristorante San Domenico di Imola. Accompagnata da una malinconica immagine del personale che smantella la sala, la riflessione di Niko Romito: «La cena di domenica 25 ottobre sarà per molti ristoranti in Italia probabilmente davvero l’ultima. Tanti di noi non avranno la forza di rinunciare per un periodo di tempo probabilmente indeterminato a ben più del 50% del proprio fatturato. Non sarà sufficiente per molti di noi il “cospicuo sostegno” promesso dal governo per poter affrontare questa seconda traversata nel deserto nel giro di neanche otto mesi. La ristorazione italiana con questa decisione subirà un colpo letale».

Il ristorante di Niko Romito
Il ristorante di Niko Romito

LA MANTIA: «SIAMO UN BERSAGLIO»

Una previsione a cui si è allineato Filippo La Mantia, che ha scelto sui suoi profili social l’immagine di un bersaglio con mirino con un laconico commento: «Puntate, mirate….fuoco! La migliore parola è quella che non si dice!! Tanto oramai si era detto tutto». Il punto non è la contestazione delle norme a tutela della salute pubblica, ma «l’incapacità del nostro governo di prevedere una seconda ondata» – spiega Cristina Bowerman, responsabile dell’Hostaria di Roma. Perplessa Antonia Klugmann de L’Argine di Dolegna del Collio (Gorizia): «Qual è la differenza tra pranzo e cena? Nel mio ristorante che ha 22 coperti, se non ci sono rischi in un caso, non ci sono nemmeno nell’altro». E ha aggiunto, con uno sguardo già alla necessaria reazione del settore: «Credo che le istituzioni stiano provando a fare il bene collettivo. Noi distanzieremo ancora di più i tavoli e con calma studieremo nuove idee. Il nostro delivery ha funzionato bene per i clienti della zona, in primavera. Capiremo se e come riproporlo per andare avanti».

© Riproduzione riservata