Ristoratori, prove tecniche di resilienza

In un mare di incertezza sul post lockdown, chef e osti stanno riflettendo sul da farsi: abbiamo chiesto i pareri di Filippo La Mantia e Giancarlo Perbellini

Quel metro abbondante che accetteremo volentieri pur di tornare all’aria aperta ma che rappresenta uno scoglio gestionale impervio per tutti i ristoratori. E si fa insormontabile in particolare nel format delle trattorie. Quale esperienzialità si può garantire, in un clima di generale paura verso l’altro? Tanti dubbi e preoccupazioni, ma anche, ancora una volta, la determinazione ad accettare e vincere le nuove sfide senza smarrire la propria identità.

LA MANTIA: I VINCOLI RENDERANNO INSOSTENIBILI I COSTI

Filippo La Mantia ha scommesso forte sulla crescita di Milano, aprendo nel 2015 il suo ristorante nella centralissima Piazza Risorgimento: 1.800 mq su due livelli e la possibilità di gestire oltre 200 coperti. Una sfida stravinta mettendo al centro del progetto la filosofia dell’ospitalità: “confort, profumi, colori e atmosfera” per offrire piacere ai clienti.

Filippo La Mantia

«E ora per riaprire sarò costretto ad adottare una serie di regole indiscutibili che porteranno a una eliminazione totale o quasi di questo piacere», commenta lo chef, immaginando una ridefinizione di strategie e sostenibilità dei costi. «Sono consapevole che non potrò mai mantenere il mio standard quando riapriremo, anche perché abbiamo iniziato l’attività da un tempo troppo recente per avere un bilancio consolidato, tale da far fronte a un così lungo periodo di inattività. E poi ho un locale talmente grande e con così tanta gente che ci lavora (34 persone, ndr) che ha bisogno di un flusso continuo di clienti per stare in piedi. Ma se alla riapertura devo ridurre tutto del 50% è ovvio che non potrò mantenere un locale di questo tipo, dal personale all’affitto, a tutti i costi di gestione». Per tornare a pieno regime, tra vincoli di sicurezza e calo dalla voglia di andare al ristorante, prevede La Mantia, «servirà almeno un anno di tempo».

E allora il patrimonio da quale attingere per ripartire è quello costituito dalla clientela fidelizzata che in questo periodo di lockdown ha risposto entusiasticamente al delivery e all’iniziativa dei dinner bond.

«Al delivery ero contrario anni fa, ora mi appoggio a service molto capaci. Ma le consegne, così come i voucher, abbiamo scelto di farli non tanto perché ci garantiscono flussi sufficienti ma per mantenerci vivi e mantenere viva la comunicazione e il nostro rapporto coi frequentatori abituali, il vero valore su cui costruire la ripresa».

E un tassello fondamentale, almeno fino a quando il comparto turistico non ripartirà, potrebbe proprio essere rappresentato dalla conquista (o riconquista) di un pubblico locale. «I miei clienti sono sempre stati al 95% italiani. Sono convinto che chi negli anni ha puntato molto su clientela internazionale, magari alto spendente ma saltuaria, dovrà cambiare totalmente i parametri» conferma La Mantia.

PERBELLINI: PUNTEREMO SU UN “MENU DELLA RIPARTENZA”

Due stelle Michelin con il suo ristorante veronese Casa Perbellini e titolare di altri sette locali, Giancarlo Perbellini sottolinea che «le uniche tre piccole eccezioni alla chiusura sono il Tapasotto, locale che da qualche settimana fa delivery da aperitivo di cicchetti freddi (tartare, tramezzini, vitello tonnato, roastbeef), la pasticceria Dolce Locanda, che ha lavorato molto a Pasqua con uova e colombe prodotte in laboratorio e consegnate a domicilio, soddisfacendo così una richiesta che neppure l’emergenza ha fermato. E solo in questi ultimi giorni abbiamo avviato, a grande richiesta, il servizio delivery anche nella pizzeria Du De Cope».

Giancarlo Perbellini

La chiusura è stata un’occasione per formulare idee e progetti, anche se «il vero problema è che siamo in mezzo al mare e non sappiamo dove andremo. C’è ancora abbastanza disorientamento a tutti i livelli: pensiamo alla cassa integrazione, che abbiamo deciso di anticipare noi per i nostri circa 100 dipendenti, ai decreti che annunciano finanziamenti ma lasciano le banche senza indicazioni precise e, in fondo, ti mettono nella condizione di indebitarti un’altra volta. Stessa cosa sugli affitti: purtroppo vedo molta improvvisazione».

Occorrerà riorganizzare aspetti cruciali, a cominciare dal distanziamento: «Qui a Casa Perbellini potremmo sfruttare il dehor, cosa che finora ho sempre evitato, ma altri locali fanno più di 100 coperti al giorno e per loro sarà un vero problema, perché sono strutturati».

Cosa troveremo in carta? «Per almeno 8-9 mesi non potremo proporre il nostro menu. Stiamo pensando a un “menu della ripartenza” più leggero, ancor più basato sulla stagionalità e quindi su prodotti del territorio, che ci permetta di alleggerire nei primi tempi la brigata in cucina». Quanto alla clientela, lo chef ci racconta che un segnale confortante è rappresentato dalle molte telefonate di affezionati clienti che chiedono notizie sulla riapertura. «Mancheranno i turisti e le fiere. Per fortuna Casa Perbellini ha una clientela soprattutto italiana. Qualche problema in più potrebbe averlo un locale come la Locanda Quattro Cuochi che, a due passi dall’Arena, in estate ha una clientela internazionale». Fervono intanto i preparativi per la Locanda Perbellini al Mare, a Bovo Marina, nello splendido tratto di mare tra Agrigento e Sciacca: una struttura che comprende 12 camere e un’azienda agricola per la produzione del vino. L’obiettivo è un’apertura soft a giugno.

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