22. Ventidue. Tanti sono gli ingredienti che compongono il burger di Beyond Meat. Oltre alla proteina isolata dei piselli, olio di cocco e succo di barbabietola vi troviamo anche gomma arabica, acido ascorbico, acido acetico e metilcellulosa, giusto per citarne alcuni.
Chiaro che la coperta è sempre corta, per cui alla maggior sostenibilità e al benessere animale fanno da contraltare un prezzo ancora abbastanza elevato (a cui Beyond dovrebbe iniziare a lavorare una volta raggiunto il break-even nel 2020) e un’etichetta francamente troppo lunga.
C’È CHI DICE NO… AL PLANT-BASED
Aldilà del gran clamore generato dalla “Ipo dell’anno”, vi sono delle catene di ristorazione che, hanno deciso di non servire prodotti plant-based nei loro ristoranti.
Avevamo già scritto del diniego di Arby’s nel collaborare con Impossible Foods, in nome di ciò che potremmo definire una sorta di “integralismo carnivoro” e di fedeltà ai principi aziendali.
Più comprensibile e motivata, forse, potrebbe apparire la scelta del format Chipotle Mexican Grill, che ha affermato di non voler inserire né Beyond né Impossible nei propri menù in quanto i prodotti sarebbero troppo processati per i propri standard. In un menù che consta, in totale, di 51 ingredienti, aggiungerne ben 22 per un solo prodotto potrebbe apparire come un controsenso, ha affermato il CEO della catena Brian Niccol che ha poi aggiunto “Abbiamo parlato con queste persone (Beyond e Impossible, ndr) e sfortunatamente tali prodotti non rientrano nei nostri principi di “integrità del cibo” a causa del loro eccessivo processamento. Se ci fosse un modo per produrli in conformità ai nostri principi sicuramente porteremo avanti la discussione”.
Sulla medesima lunghezza d’onda sembra essere l’executive chef della nota catena londinese Burger&Lobster, Danny Lee che ha recentemente affermato: “Ci abbiamo riflettuto, ma alla fine abbiamo deciso di continuare con i nostri burgers e le nostre aragoste.”
Tutto ciò mentre colossi del calibro di Burger King lanceranno a breve l’Impossible Whopper su scala nazionale e anche catene italiane come Metro hanno da poco inserito a listino il Beyond Burger.
IL FUTURO È NELL’ETICHETTA CORTA
Una riformulazione nel medio periodo non è da escludere per i due colossi e leader di mercato ma nel frattempo c’è già chi sta lavorando a prodotti plant-based con etichette più corte.
Da colossi come Nestlè, i cui prodotti della linea Garden Gourmet, a scaffale da Esselunga da alcune settimane, hanno un’etichetta con soli 5 ingredienti (ne parleremo a breve sulle pagine di Food) all’italianissima Joy Food, unica italiana nel campo del plant-based e tra le prime a livello mondiale a produrre il pollo a base vegetale, il futuro del plant-based sta virando verso etichette corte e una maggior salubrità, anche per convincere i consumatori più scettici.
Antonio Iannone