DoorDash chiama Wall Street

La piattaforma di delivery ha inoltrato richiesta alla SEC per la quotazione in borsa
DoorDash chiama Wall Street

Si dice che la superstizione sia prerogativa del popolo anche se diversi importanti uomini d’affari, per non parlare dei calciatori, abbiano ciascuno i propri riti scaramantici. Non è così sicuramente per i vertici di DoorDash, che Venerdì 13 Novembre hanno inoltrato alla SEC (Securities and Exchange Commission USA) la richiesta per la quotazione in borsa.

DIAMO I NUMERI

La IPO avrebbe dovuto essere lanciata già quest’estate, ma è stata congelata causa covid e “trasformata”, se così si può dire, in un Round H da 400 milioni di dollari.

Tale round ha portato a 2,5 miliardi di dollari la raccolta totale dell’azienda DoorDash per una valutazione attuale di 16 miliardi di dollari. Nel documento ufficiale inoltrato alla SEC è stato indicato un fatturato fino a settembre di 1,9 miliardi di dollari e una perdita di 149 milioni.

Quest’ultimo dato non deve sorprendere, dato che piattaforme = perdita è un assioma ancora scontato, eccezione fatta per le aziende più piccole, come Alfonsino, FoodRacers, MyMenu et similia.

Per completezza d’informazione è bene indicare che il fatturato di DoorDash è triplicato rispetto allo stesso periodo del 2019, quando erano state registrate vendite per 587 milioni. Inutile sottolineare come la pandemia abbia influito su tale risultato.

SUPPORTO ALLE COMUNITÀ GARANTITO

E proprio a riguardo di tale crescita, l’azienda, nel comunicato stampa, ha tenuto a precisare che: “le circostanze che hanno accelerato la crescita del nuovo business sono derivanti dalla pandemia e potrebbero non continuare in futuro; ci aspettiamo anzi che il tasso di crescita di fatturato e ordini totali sia destinato a scendere nel prossimo futuro”.

L’azienda attende quindi il via libera della SEC per dare battaglia a Wall Street ai competitor Grubhub e Uber, sotto il simbolo DASH.

Il Ceo Tony Xu, ci ha tenuto a ribadire che la quotazione in borsa servirà anche a supportare un nuovo progetto quinquennale da 200 milioni a supporto delle comunità locali

“Sebbene le piccole imprese siano vitali per le nostre comunità e abbiano creato circa due terzi dei nuovi posti di lavoro netti negli Stati Uniti dal 2000 al 2018, ora rischiano di rimanere indietro a causa della GIG economy, in cui i consumatori si sono abituati a ottenere tutto in pochi clic, una tendenza che ha subito un’accelerazione causa COVID”.

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