La ristorazione collettiva chiede aiuti al Governo

Nel nuovo Dpcm non sono previsti ristori per le aziende del settore, che lanciano l’allarme: occorrono interventi immediati per sanare una situazione che si fa sempre più pesante
La ristorazione collettiva chiede aiuti al Governo

Una perdita media dei fatturati stimata nell’ordine del 50% nel 2020, con migliaia di posti di lavoro in bilico. E dopo il danno, la beffa. Il settore della ristorazione collettiva, infatti, già colpito duramente a causa dell’utilizzo sempre più diffuso dello smart working e dello stop alle lezioni a scuola, ora si è visto escluso dai ristori previsti dall’ultimo Dpcm governativo. E la situazione sta diventando sempre più insostenibile. «Ancora una volta, come già successo nei mesi di lockdown, viene ignorato un settore che ha invece una forte rilevanza a livello sociale – spiega a Food Service Rosario Ambrosino, Amministratore Delegato di Elior Italia –. Prima di tutto, impiega oltre 96.000 addetti, che servono, a regime, 1 miliardo di pasti l’anno in Italia. Inoltre, garantisce a un’ampia fascia della popolazione, come bambini e ragazzi a scuola, anziani nelle RSA, lavoratori di aziende pubbliche e private, impiegati delle Forze Armate, dipendenti e pazienti di Ospedali, un servizio di ristorazione collettiva di qualità e sostenibile, a un prezzo accessibile, assicurando un servizio di grande valore per la collettività. Il settore ha continuato a lavorare anche durante i mesi di lockdown, assistendo il settore socio-sanitario in un momento di difficoltà e ha consentito alle aziende di riprendere le attività con un servizio di ristorazione in sicurezza e garantito alle scuole una riapertura con una mensa sicura e salutare».

Come Elior, anche CIRFOOD, durante il lockdown si è impegnata a garantire i servizi di ristorazione. «Ci siamo innovati, abbiamo fatto fronte ai tanti e continui cambiamenti e, soprattutto nelle fasi più emergenziali, grazie all’impegno e alla dedizione di tutti i nostri operatori coinvolti, siamo stati un supporto concreto per i nostri clienti – dichiara Alessio Bordone, Sales Executive Director della società –. Anche se con grande fatica, abbiamo anticipato gli ammortizzatori sociali alle nostre persone e, in tantissimi casi, abbiamo fatto fronte agli extra costi non previsti dai contratti d’appalto, nonostante una diminuzione esponenziale dei margini di guadagno, più che proporzionali al crollo del fatturato».

LE RICHIESTE AL GOVERNO

La situazione è sempre più drammatica e le richieste al Governo delle aziende di settore sono di aiuti immediati. «Le misure previste dal decreto Ristori, oltre a non parlare di ristorazione collettiva, intervengono sulla ristorazione commerciale solo per i piccoli esercenti, dimenticando le imprese strutturate e i locali afferenti al business Retail – spiega Bordone –. Non parliamo di pochi esercizi commerciali: CIRFOOD conta circa cento locali, che impiegano migliaia di persone in tutta Italia e che attualmente sono esclusi dalle normative vigenti. Ora è necessario, quindi, che arrivino aiuti tempestivi che permettano ad aziende come la nostra, con una storia di oltre cinquant’anni, fatta di esperienza, professionalità e responsabilità, di garantire stabilità alle proprie persone e la massima qualità nei servizi».

Netta è la posizione di Ambrosino, che sottolinea come Elior Italia «sia pronta a essere al fianco dei suoi clienti con soluzioni di consegna pasti a domicilio, studiati già prima della pandemia per rispondere alla crescente flessibilità dei modelli organizzativi, processi accelerati dal contesto attuale e che riteniamo debbano trovare una risposta in termini di nuovi servizi innovativi. Una strada per sostenere le imprese nell’adottare questi sistemi potrebbe essere rappresentata dal fornire sussidi, anche attraverso strumenti di defiscalizzazione, per assicurare la continuità della mensa aziendale laddove possibile ed eventualmente la consegna di pasti buoni e bilanciati ai propri dipendenti anche a casa, garantendo quindi durante il remote working il servizio erogato tradizionalmente in azienda. Questo consentirebbe di rispondere a un’esigenza personale di milioni di dipendenti che, altrimenti, con la diffusione crescente del lavoro agile, rischiano di veder retrocedere, se non venire meno, un servizio fondamentale per la loro salute e benessere generale».

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