PizzaUp: il simposio della pizza quest’anno è ‘disruptive’

Rompe decisamente con il passato la diciassettesima edizione dell’evento ideato da Petra. Nuova location, nuove modalità di fruizione e ambientazione smart hanno caratterizzato la due giorni. La redazione di Food Service ha seguito il talk di apertura
PizzaUp: il simposio della pizza quest’anno è ‘disruptive’

Un palco circolare. Le sedie tutte attorno. Una location esclusiva e al tempo stesso provocatoria, per un evento che, giunto alla sua diciassettesima edizione, esce dalla comfort zone del molino, alla conquista di Milano. Pizza Up (& friends), il simposio sulla pizza organizzato da Petra, si è svolto il 7 e 8 novembre presso gli East End Studios di Via Mecenate. 

Ad aprire i lavori Chiara Quaglia e Piero Gabrieli, rispettivamente Ad e Direttore marketing dell’azienda. Vogliamo due giorni dirompenti” ha esordito Chiara Quaglia. “Due giorni di confronto, di scambio e di crescita, per prendere coscienza dei cambiamenti che stanno avvenendo nel nostro settore”. Per l’Ad, infatti, è indispensabile che il pizzaiolo sia in grado non solo di fare ottime pizze, ma di rispondere alle esigenze emergenti, soprattutto da parte delle nuove generazioni. Cosa non facile, dati i mutamenti sostanziali nelle modalità di fruizione dell’offerta Ooh, che la pandemia ha fortemente accelerato. Da qui la scelta di Petra di creare un evento nuovo, smart, stimolante e disorientante allo stesso tempo. Ed ecco spiegato il palco circolare, “un modo per costringere gli spettatori a un nuovo punto di vista, un piccolo ‘inciampo’ – lo ha definito Piero Gabrieli – per indurre a guardare la realtà in maniera diversa”.

CRISI O RIVOLUZIONE? SAPER DISTINGUERE PERMETTE DI CRESCERE

A scattare la perfetta fotografia di questo mondo che cambia è stato Sebastiano Barisoni, Direttore di Radio24 e conduttore di Focus Economia, che ha introdotto i primi ospiti e dato il via ai lavori. Il punto di partenza del suo intervento è stata la distinzione tra crisi e rivoluzione; una differenza fondamentale da comprendere perché “sbagliare diagnosi significa sbagliare terapia” ha decretato. 

E, in effetti, se durante una crisi la migliore risoluzione è di restare fermi e aspettare che passi la tempesta – o, in altri termini, resistere – durante una rivoluzione fermarsi non è affatto una buona idea. Questo proprio perché, a differenza della crisi, una rivoluzione non finisce. “Le crisi possono avere origini molto diverse – ha commentato il giornalista – ma la dinamica è sempre la stessa e prevede un crollo repentino delle attività produttive, soprattutto in determinati settori (pensiamo alla crisi pandemica e al fuori casa, ndr), seguito da un recupero altrettanto intenso. Le rivoluzioni, al contrario, colpiscono tutti i settori e – cosa molto importante – sono imprevedibili e irreversibili. Una rivoluzione scardina i riferimenti (e ritorniamo dunque al palco circolare) e questo genera angoscia, smarrimento nel non sapere dove si è. “In economia questa sensazione ha un nome: si chiama incertezza ed è diversa dal rischio, perché ad affrontare un rischio ci si può preparare, ma se non si sa cosa succederà, invece, è impossibile” ha spiegato l’esperto.

L’ALGOROCRAZIA E LA RENDITA DI POSIZIONE: PER EMERGERE BISOGNA DARE DI PIU’

Prendiamo per esempio le rivoluzioni industriali: ora siamo nel pieno della quarta, la cosiddetta ‘Industria 4.0’ che, come le altre tre, ha avuto un fattore scatenante di carattere tecnologico; in questo caso, la rete.

Essere connessi permette ai consumatori, per la prima volta nella storia, di poter conoscere e paragonare tutta l’offerta esistente su un bene o servizio indipendentemente da dove risiede” ha proseguito Barisoni. Un cambiamento straordinario, perché comporta la distruzione del concetto di luogo. Una grande opportunità per chi ha in mano lo smartphone, ma potenzialmente un disastro per chi, invece, si trova dentro lo schermo. “Siamo nell’era dell’algorocrazia, la dittatura dell’algoritmo, e possiamo reagire in due modi: o aspettare di ‘essere scelti’ oppure dare al consumatore un valore aggiunto, che non può e non deve essere solo il prezzo”. Qualche esempio? Barisoni cita Rossopomodoro che sì, si posiziona in una fascia di prezzo conveniente, ma che offre anche un plus importante: la standardizzazione del servizio. Non importa in quale location ci si trovi, l’accoglienza e il prodotto saranno sempre gli stessi. Una cosa piuttosto nuova per il mondo della ristorazione: “Prima i locali avevano una ‘rendita di posizione’ – ha chiarito il giornalista – una sorta di monopolio all’interno del loro territorio. Oggi non più”. Oggi il cliente che non è soddisfatto ha molte più possibilità di scelta e di rivolgersi altrove. In questo contesto, per battere l’algoritmo è indispensabile l’empatia: occorre capire il cliente e le sue esigenze, offrire esperienze e plusvalori e mantenere sempre lo stesso livello di qualità e servizio.

Da queste considerazioni Barisoni è partito per introdurre i tre ospiti del talk di apertura di PizzaUp: Francesco Martucci (I Masanielli, Caserta), Ciro Oliva (Concettina Ai Tre Santi, Napoli) e Simone Padoan (I Tigli, San Bonificacio, Vr), che si sono confrontati su temi caldi per il settore: dall’aumento dei prezzi al rapporto con i collaboratori.

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