Dalle ghost kitchen ai ghost franchise

Negli Usa spopolano i ghost brand come MrBeast Burger che grazie alla notorietà dei loro testimonial fanno breccia sulle nuove generazioni. Loro ci mettono la visibilità, il logo e il packaging. A preparare il cibo pensano cucine fantasma, spesso in ristoranti tradizionali. Un modello win-win al tempo del Covid
Dalle ghost kitchen ai ghost franchise

Dopo le ghost kitchen, ora è tempo di brand fantasma e di intere reti in franchising dematerializzate. Che alle spalle non hanno chef o imprenditori del settore ristorazione ma youtubers o celebrità del nuovo millennio, in grado di generare migliaia di dollari di fatturato grazie a una combinazione sapiente di dimestichezza con i social media, una fan base consistente, una conoscenza profonda delle esigenze, a volte futili e puramente di immagine, delle nuove generazioni quando scelgono cosa mangiare. Ne parla Marissa Conrad sul New York Times, citando innanzitutto il caso di MrBeast, stella di Youtube da 54 milioni di iscritti.

PACKAGING, LOGO MA SOPRATTUTTO VISIBILITÀ

Noto per i suoi video surreal-demenziali in cui finge di effettuare rapine o si aggira per i ristoranti d’America ad assaggiare i piatti più costosi con commenti sarcastici, ha appena annunciato di avere raggiunto, dallo scorso dicembre, già 300 aperture di ristoranti in giro per gli Stati Uniti, con l’insegna MrBeast Burger (nella foto). Ma come è possibile che sia riuscito, senza alcuna esperienza nel settore a consegnare già oltre un milione di porzioni di carne alla piastra e patatine in soli due mesi? Jimmy Donaldson, questo il vero nome del giovane imprenditore del North Carolina,  ha deciso di proporre a ghost kitchen esistenti o a ristoranti tradizionali in giro per l’America di cucinare hamburger e patatine secondo la sua ricetta: una sorta di “franchise fantasma”, in cui, in cambio di una quota delle vendite generate, Donaldson fornisce ai partner il nome, il logo, il menu, le ricette, il materiale di comunicazione per vestire il packaging e soprattutto grande visibilità e pubblicità virtuale a chiunque abbia spazio e personale da dedicare alla preparazione dei piatti.

ENDPRSERS CELEBRI PER FARE PRESA SU MILLENNIAL E GENERAZIONE Z

Per esempio a MidVale, Utah, i piatti escono dalla linea di Buca di Beppo, un ristorante italiano che segue pedissequamente la ricetta proposta da Donaldson e ha, a leggere le recensioni, clienti più che soddisfatti. Lo stesso dicasi per Manhattan, dove a preparare il MrBeast Burger è l’Handcraft Kitchen & Cocktails Bar, un ritrovo di quartiere. E non è finita. A promuovere MrBeast Burger, entro un mese, saranno il presentatore di MTV Mario Lopez e la star di Jersey Shore Pauly D.: l’idea è che grazie all’endorsement di prestigio, i Millennials e la Generazione Z si sentano sempre più motivati a compiere scelte di consumo alternative e originali.

A NEXTBITE UN FINANZIAMENTO DA 120 MILIONI

E poco importa se dietro l’insegna del momento…non c’è nulla, o c’è quel ristorante di vicinato in cui non avremmo mai messo piede. Che le insegne virtuali funzionino lo prova anche il finanziamento di 120 milioni di dollari ricevuto lo scorso ottobre da NextBite, che ha 13 brand in portafoglio, come il numero crescente di start up o di realtà consolidate che decidono di investire sulla formula. E a dispetto di chi la considera una minaccia per le formule di ristorazione tradizionale, sono proprio i locali brick & mortar a credere nelle sue potenzialità. Come James Garofalo, titolare di Goddess & The Baker a Chicago che dalla sua cucina gestisce le preparazioni per 12 brand virtuali del gruppo NextBite: gli ordini arrivano tramite app e dopo essere stati preparati vengono posizionati in uno stesso contenitore “anonimo” e solo prima di lasciare il locale, con un adesivo o un timbro, il packaging viene personalizzato. Le ricette vengono realizzate con gli ingredienti che già il ristorante utilizza per il proprio menù, come i fornitori di materie prime. Nextbite si tiene il il 45% della vendita, ma si fa carico anche di tutte le spese di consegna, mentre Garofalo riesce a guadagnare dai 12 brand, nel mese migliore, sino a 20mila dollari.

UN MODELLO WIN-WIN NELL’ERA DEL COVID

Un modello win-win, insomma, che in epoca di Covid da ai ristoranti qualcosa che da soli, spesso, non riescono a generare: visibilità in un contesto strategico, quello virtuale, sempre più affollato. Tramite le app di delivery, nomi fantasiosi e menu accattivanti attirano una clientela alla ricerca di proposte sempre nuove. Il resto lo fanno il logo, il packaging e l’originalità delle ricette. C’è spazio per tutti, senza rischi eccessivi. «Quando si passa di moda, non resta che inventarsi una nuova idea o molto più semplicemente, un nuovo nome».

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