In Usa la ristorazione diventa più etica

Il Covid e la crisi economica spingono verso business più sostenibili. E insegnano un nuovo rapporto coi dipendenti. La lezione per un fuoricasa più equo e assistenziale arriva dalla provincia americana

Coniugare costo del lavoro, prezzo delle materie prime, affitti, assicurazione, ispezioni sanitarie. Equilibrismi della difficile arte di continuare ad attirare clienti che da sempre fanno parte del business della ristorazione, ma che dopo lo tsunami del Covid-19 hanno bisogno nuovi modelli. Ma soprattutto di ripartire da un nuovo paradigma: ripensare il rapporto coi propri dipendenti verso un prototipo più equo e più etico.

IN USA 2,5 MILIONI DI POSTI DI LAVORO IN MENO

L’industria della ristorazione e dei fast food, la seconda per numero di dipendenti negli Usa, è letteralmente collassata nel giro di 24 ore: più di 5,5 milioni di posti di lavoro erano scomparsi alla fine di aprile 2020 e al momento il numero di impiegati nel settore è ancora inferiore di 2,5 milioni rispetto allo scorso febbraio. Le stime parlano di una forbice tra il 20 e il 25% di ristoranti che non riapriranno e questa chiusura definitiva andrà a impattare su agricoltori, pescatori, fornitori di attrezzature da cucina, fioristi, titolari di cantine vinicole e milioni di lavoratori a cui è stato prospettato un bivio per nulla incoraggiante: iscriversi nelle liste di disoccupazione o cercare di continuare a lavorare altrove, mettendo a rischio la propria salute in un paese in cui, è noto, il sistema di assistenza sanitaria non è accessibile a quanti possono contare sulla paga media di un ristorante. E lo è ancora meno alle migliaia di lavoratori non in regola, immigrati e addetti di colore, di fatto ultimi tra gli ultimi.

A NY NESSUN INCENTIVO NÉ GARANZIA DI ASSISTENZA

Osservare le dinamiche di New York attraverso lenti autorevoli come quelle del New York Times permette di farsi un’idea dell’evoluzione dello scenario attuale. Nella Grande Mela i ristoranti hanno ottenuto il permesso di riaprire al 25% della capacità e ai lavoratori è stato chiesto di tornare operativi, senza alcun incremento nel compenso e soprattutto senza alcuna garanzia di assistenza in caso di malattia. Ed è qui che qualsiasi ipotesi di ripartenza, per l’industria della ristorazione, si trova a fare i conti non solo con l’aspetto economico della vicenda ma anche, forse soprattutto, con quello morale.

LAVORI SOTTOPAGATI E IL SISTEMA INIQUO DELLE MANCE

Se si solleva il velo dell’ipocrisia, è evidente che il modello di business della ristorazione si basa spesso sul lavoro a basso costo. Uno su sei dipendenti di locali e fast food, secondo l’Economic Policy Institute, vive sotto la soglia di povertà e il settore ha un tasso di ricambio delle professionalità del 75% contro una media del 49%: un lavoro instabile, non protetto, sottopagato, da cui chi può si allontana. Non è tutto: la pratica di lasciare mance a chi è in diretto contatto con il cliente – cameriere, maître, barman – penalizza chi lavora in cucina e favorisce le discriminazioni. Anche nei ristoranti in cui esiste una policy di mance divise equamente tra tutto il personale, si stima che oltre il 40% di queste non venga correttamente ripartito, tanto da penalizzare la paga media oraria di un cuoco (12,67 dollari) o di un cameriere (11 dollari) che potrebbero invece aumentare sino a 15,40 dollari.

UN VENTO NUOVO DALLE REALTÀ LOCALI

Se si sposta l’attenzione dalle grandi catene globalizzate delle principali città americane verso le realtà locali ci si accorge che il discorso sta cambiando. E dopo la pandemia gli esempi virtuosi di miglioramento delle condizioni di lavoro nella ristorazione si sono moltiplicati. Esempi che possono rappresentare fonti di ispirazione per il fuoricasa del post Covid. Qui ci si rende conto che la maggior parte dei ristoranti, dei saloon o dei diner, è spesso un microcosmo a conduzione famigliare, utilizza fornitori del posto e rappresenta un landmark, un luogo di socializzazione fondamentale per la comunità.

SPESE REGALATE E “DIPENDENTI AZIONISTI”

A Memphis, Tennessee, il Four Way è una vera e propria istituzione che da 74 anni cucina soul food in città: investito dalla pandemia, si è reinventato in chiave delivery e take out, ma soprattutto per ridurre gli sprechi ha deciso di donare ai dipendenti parte della spesa di prodotti freschi – carne e verdure in particolare – a cui fornisce sostegno per pagare bollette e fatture.

Patrice Bates Thompson, The Four Way Restaurant
Patrice Bates Thompson, The Four Way Restaurant

PizzaPlex, alla periferia di Detroit, sta cercando di ovviare al problema rendendo ogni dipendente un “azionista” del locale, con diritto di parola nelle decisioni strategiche più importanti. I gestori hanno dichiarato di voler redistribuire la ricchezza generata dal ristorante tra tutti i membri della comunità che ne permette l’operatività.

PizzaPlex ristorazione

COMMUNITY KITCHEN GRAZIE ALLE DONAZIONI DEI CLIENTI

Da Musang a Seattle la paga oraria è la stessa per tutti e le mance vengono ripartite equamente in base alle ore di lavoro. E dal momento in cui è esplosa la pandemia, per tutelare i dipendenti in massima parte filippini che per tradizione vivono in grandi spazi monofamiliari con membri anziani della comunità, ha trasformato il ristorante in una “community kitchen” aperta due giorni a settimana in cui le persone possono avere un pasto gratis grazie alle donazioni di clienti e fornitori (il 75% in media degli ordini on line, per esempio, contiene anche una quota destinata a questa forma di charity per il vicinato). Melissa Miranda, la chef e titolare, spiega: «Ho dovuto domandarmi come avrei potuto diventare un mentore e un motivatore per i miei dipendenti, in un momento così complesso. E ho fatto dei cambiamenti reali e coraggiosi nel modo in cui abbiamo sempre lavorato». Ha aumentato il salario orario a 25-30 dollari e offre ai dipendenti un sostegno per pagare i conti dell’assistenza sanitaria. «La mia idea di business è sempre stata questa: promuovere il cambiamento e non basarsi esclusivamente sul profitto». Tanto che, invece di maggiorare i prezzi come hanno fatto molti colleghi senza giustificazioni, ha riaggiustato il menu con proposte a maggioranza di verdura e materie prime dai costi più contenuti, quindi più abbordabili per la clientela, ma soprattutto ha condiviso con i clienti le policy adottate a tutela dei dipendenti: «La trasparenza e la spiegazione del perché di alcuni aumenti è fondamentale per garantirsi la fidelizzazione del cliente. E per ricominciare con fiducia quando tutto questo sarà passato».

Musang ristorazione
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