KFC: il re del pollo fritto scommette sull’Italia

Arrivata a quota 20 ristoranti, la società punta almeno a 100 aperture nei prossimi cinque anni. Il modello di sviluppo è basato sul franchising e sulla selezione di un numero relativamente ristretto di partner

Ci sono voluti oltre 10 anni di riflessione, studio del mercato, analisi della formula commerciale più adeguata per presidiarlo al meglio e finalmente, nel 2014, Kentucky Fried Chicken ha fatto il suo attesissimo ingresso in Italia, partendo da Roma e Torino. Oggi la catena del mitico colonnello Sanders, effigiato nell’inconfondibile logo e sui classici “buckets”, conta nel nostro Paese 20 ristoranti: l’ultimo ha aperto i battenti lo scorso 19 aprile a Roma, nel neonato centro commerciale Aura. Corrado Cagnola, CEO di KFC Italia, ci racconta i tratti distintivi e i progetti della società.

Come si configura la presenza di KFC in Italia?
Siamo arrivati in Italia da buoni ultimi a livello europeo. Al momento, con i nostri ristoranti siamo presenti in sei regioni, Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Lazio e Campania, dando lavoro a oltre 600 addetti. Lo scorso anno abbiamo servito 5 milioni di clienti, sviluppando per ogni locale un fatturato medio di circa 1,9 milioni di euro. L’obiettivo è quello di incrementare notevolmente la rete nel prossimo triennio, arrivando almeno a quota 100 aperture. Un target che contiamo di centrare grazie al franchising, lo strumento sul quale da sempre fondiamo il nostro modello di sviluppo nel mondo. Basti pensare che il 97% dei ristoranti, vale a dire oltre 20.000 locali, è gestito in questo modo.

Come selezionate i franchisee?
Quello di KFC è un sistema multifranchising: preferiamo puntare su un numero limitato di franchisee, al momento in Italia sono cinque, in grado di sviluppare almeno 10 ristoranti ciascuno. Se consideriamo che 10 punti vendita comportano oltre 250 dipendenti e un fatturato che si attesta sui 20 milioni di euro, ciò equivale a gestire una media azienda: un compito per il quale occorre avere le necessarie doti imprenditoriali. Noi forniamo il know-how, il training, il supporto operativo. Per individuare il franchisee “giusto”, analizziamo il piano industriale che intende sviluppare con noi, puntando su imprenditori che abbiano la capacità di affrontare un business particolare, caratterizzato da alti volumi e bassi margini, che impone quindi massima attenzione e risorse adeguate.

Quali location prediligete?
Preferiamo al momento aperture che ci diano tempi certi, come quelle nei centri commerciali, ma siamo presenti anche nei centri cittadini e nel canale “Drive”, strutture stand alone con una corsia dedicata agli ordini, che consentono di acquistare prodotti direttamente dalla propria auto. In questi ultimi casi, in passato il processo autorizzativo è stato molto lungo. Ma non demordiamo e per quest’anno abbiamo già in programma cinque nuove location in centro città e altri sei Drive.

Qual è il vostro target di riferimento?
Ci rivolgiamo prevalentemente a giovani dai 16 ai 35-38 anni. Una scelta dettata da due motivi di fondo: offriamo una ristorazione veloce che è riconosciuta come alternativa a quella tradizionale e comunichiamo esclusivamente attraverso gli strumenti digitali (oltre a poco outdoor), che sono appannaggio soprattutto di un target giovane. Non dimentichiamo che il brand KFC, ancor prima che arrivasse nel nostro Paese, era molto presente nell’immaginario degli italiani. A ogni modo, ci rivolgiamo anche a target diversi: penso alle famiglie, per le quali è idealmente pensato il nostro famoso bucket, il secchiello di carta dal quale ci si serve in condivisione.

Quali sono le caratteristiche essenziali del format?
Il nostro ristorante standard, dove lo spazio ce lo permette, è di circa 400 mq, con almeno 150 posti a sedere. Circa la metà del locale dev’essere destinata alla preparazione, sempre espressa, ma siamo disponibili a soluzioni molto diverse: in via Orefici a Milano lo spazio è poco e una finestra sulla strada consente di acquistare senza neppure entrare; nei centri commerciali possiamo rinunciare alla sala approfittando delle sedute comuni. Nei ristoranti più ampi possiamo esprimere al meglio tutto il nostro potenziale, in termini di allestimenti, arredi, colori, immagini. Quanto ai servizi, puntiamo molto sul free wi-fi e sulla ricarica dei mobile devices.

Come gestite la logistica?
Ci avvaliamo di una società terza, nostra partner, che ci mette a disposizione due piattaforme, al Nord e Centro Italia, alle quali fanno riferimento i fornitori. Da lì si effettuano le consegne ai singoli ristoranti, con una frequenza che può variare da due a sei volte alla settimana, a seconda delle esigenze.

Che tipo di formazione erogate ai collaboratori?
Un principio cardine di KFC è la crescita interna. Si entra nei ristoranti dopo un periodo di training che va dalle due settimane per il personale di cassa o sala, alle 6-8 settimane per chi lavora in produzione, fino ad arrivare ai 3-6 mesi per i responsabili di turno e il direttore del ristorante, cui è affidata una macchina complessa: gestione delle risorse, igiene e sicurezza, rapporti con i fornitori e molto altro. Dei circa 30 addetti di ogni punto vendita, due terzi sono part time (24 ore settimanali su 6 giorni) e un terzo full time (40 ore su 5 giorni).

Come declinate la comunicazione in chiave digitale?
Utilizziamo Facebook, Instagram e YouTube e lavoriamo con Google per il Seo: cerchiamo di mettere a frutto il nostro potenziale su questi quattro media. Naturalmente i social vanno trattati con cura e professionalità: non possiamo permetterci di produrre contenuti che non siano attraenti e di alta qualità, perché la velocità del pollice dei nostri utenti è elevatissima.

Quali sono gli obiettivi di KFC in Italia?
Puntiamo a 20-30 aperture all’anno nel prossimo quinquennio e alla copertura di aree in cui non siamo ancora presenti, come la Toscana, parte dell’Emilia Romagna e diverse regioni del Sud. Quanto ai servizi, stiamo sperimentando con grande cautela il delivery.

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