Luca Guelfi e il suo laboratorio di idee

Sono una ventina i locali lanciati in quasi trent'anni dall'imprenditore della ristorazione milanese Luca Guelfi. I fattori vincenti? Novità e originalità
Luca Guelfi e il suo laboratorio di idee

Quando racconta di sé, dei suoi ristoranti, dell’inconfondibile impronta internazionale che li caratterizza, Luca Guelfi è un fiume in piena: la sua passione ti coinvolge al punto da farti sentire nel loft adibito a ufficio – anzi, “laboratorio di idee”, come ama definirlo – sopra il Saigon, dove si svolge l’intervista, ma anche negli altri locali: quelli aperti e quelli in fase di lancio o solo progettati. In 27 anni di attività, Luca Guelfi ne ha lanciati una ventina, non solo a Milano, ma anche a Formentera, Santo Domingo, Miami, senza un attimo di sosta. Oggi la sua Luca Guelfi Company annovera il Canteen, ristorante messicano dove dominano tapas e tequila, aperto a Milano, nella sarda Poltu Quatu in versione estiva, dal 1 dicembre 2017 a Courmayeur e in futuro a Roma; il Petit Bistrot, fascino provenzale e cucina italiana classica e il Saigon, suggestivo ristorante di cucina vietnamita che richiama le atmosfere dell’Indocina ma anche certe location newyorkesi, aperto a maggio e ricavato da un magazzino a due passi dal Canteen. I ristoranti danno lavoro a un’ottantina di dipendenti e macinano 7-800 coperti al giorno.

Dopo tutti questi anni ricchi di esperienze diverse, qual è la ‘formula magica’ del successo dei suoi locali?
Sono sempre alla ricerca di ciò che manca in città: per questo i miei locali sono concepiti per portare a Milano, e non solo, qualcosa di veramente nuovo, memorabile, originale da tutti i punti di vista: l’ambiente e gli arredi, l’offerta food e beverage, le luci, la musica. E quindi fare tendenza. Un paio di esempi: il Canteen è un ristorante messicano come se ne vedono oggi a Città del Messico, dove trionfano la condivisione, la musica e la cucina si abbina bene ai distillati, a cominciare dalla tequila. Il Saigon è il ristorante di cucina vietnamita che mancava a Milano, frutto di un progetto che mi ha appassionato da subito e di una ricerca durata due anni per trovare i complementi d’arredo giusti, spesso d’epoca. Nulla è lasciato al caso, l’atmosfera è davvero unica. Ogni nuova apertura, d’altronde, è studiata da uno staff che parte dall’idea e cura ogni minimo dettaglio. Il nostro è un target internazionale che da noi può trascorrere un’intera serata, dall’aperitivo all’intrattenimento after dinner: nella seconda serata, spazio dunque al dj e a una musica a volume un po’ più elevato.

Quali sono i plus della sua proposta in ambito food?
La mia clientela è disposta a spendere qualcosa in più perché sa che puntiamo alla massima qualità delle materie prime e alla professionalità delle brigate in cucina. Quella dei Saigon ha affrontato due mesi di training ed è guidata da uno chef vietnamita che propone l’autentica cucina leggera ed equilibrata tra spezie e aromi, tipica di quel paese, anche se un po’ adattata al nostro gusto.

Quanto conta il bar per i suoi locali?
E’ fondamentale e non solo perché garantisce margini superiori a quelli del ristorante: infatti, da noi si può venire anche solo per gustare un cocktail in un ambiente speciale. Il tequila bar del Canteen è una colonna portante del locale, con i suoi signature cocktail come il mangarita, che arricchisce il classico margarita con una purea di mango. Anche al Saigon il bar è una chicca, con una decina di signature in carta.

In che misura è importante lo staff “dietro le quinte”?
In generale, dal punto di vista manageriale in Italia siamo ancora lontani rispetto a realtà avanzate come quella statunitense. Per questo ho puntato su ottime professionalità in aree chiave: amministrazione, personale, food&beverage, fino alla gestione delle prenotazioni.

Quali sono gli errori da non fare per un imprenditore della ristorazione?
Certamente sentirsi arrivato – e quindi sedersi sugli allori – se il locale funziona e non mettersi in discussione, non dedicare le giuste energie all’innovazione. Rischia chi tralascia anche solo uno di questi elementi: l’idea, che dev’essere originale e “internazionale”; la ricerca in fatto di allestimenti, atmosfera e menu; la location, che dev’essere coerente rispetto all’idea e, last but non least, la comunicazione, che significa social, web, saper creare l’attesa, ma anche sfruttare il caro vecchio passaparola.

© Riproduzione riservata