Sebeto, crescere con creatività e rigore gestionale

Il gruppo partenopeo è tra i big player della ristorazione a catena e portabandiera della pizza napoletana. Con 4 format, oltre 137 locali e 84 ristoranti

Ci sono storie imprenditoriali davvero straordinarie, nelle quali la passione, la lungimiranza, il coraggio si fondono indissolubilmente con un modello di business vincente, gestito con efficienza e rigore. Proprio come quella, accompagnata dal pepe di mille aneddoti, incontri e avventure, che ci racconta Franco Manna, vulcanico fondatore e Presidente di Sebeto, la società che ha lanciato Rossopomodoro, brand icona internazionale della pizza napoletana, fiore all’occhiello di un portafoglio che comprende le catene Rossosapore, Anema e Cozze e Ham Holy Burger. Il 2018 ha segnato l’avvio di un nuovo capitolo nella storia del gruppo partenopeo: lo scorso giugno il fondo londinese OpCapita ha rilevato le quote di Change Capital Partners, che dal 2011 deteneva il 70% di Sebeto. Franco Manna, socio di minoranza, è stato confermato alla presidenza, mentre Pippo Montella, co-fondatore della società, continua a gestire le relazioni con i principali fornitori.

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Franco Manna, Presidente di Sebeto

Com’è nata l’idea di Rossopomodoro?
Nel 1987 insieme a due amici abbiamo pensato di aprire una pizzeria: la nostra ambizione era portare innovazione in un settore allora molto tradizionale.
E così, l’anno successivo abbiamo inaugurato a Napoli il nostro primo ‘Pizza e Contorni’, puntando su alcuni plus che sarebbero diventati veri marchi di fabbrica della nostra futura attività.

Quali sono questi plus?
La carta vincente è stata intuire l’importanza di non limitarsi a utilizzare prodotti eccellenti, lavorati da pizzaioli di prim’ordine, ma di saper comunicare ai clienti queste peculiarità. Siamo stati forse i primi a fare dello storytelling un efficace strumento di marketing. Il successo è stato immediato: in pochi anni abbiamo aperto una decina di ‘Pizza e Contorni’, arrivando a Los Angeles. Un’esperienza che mi ha permesso di cogliere molti trend e trarre importanti ispirazioni per gli anni a venire: allora la città degli angeli era il crocevia di tutte le novità della ristorazione.

A cosa si deve l’evoluzione che vi ha portato a lanciare Rossopomodoro?
Rossopomodoro è nato nel 1998 non solo ereditando il patrimonio di know-how ed esperienza che avevamo sviluppato in dieci anni di attività, ma anche facendo tesoro delle difficoltà gestionali che erano scaturite con lo sviluppo della prima catena di locali. Abbiamo giocato sin dall’inizio la carta della tipicità e dell’alta qualità delle materie prime, selezionando per i cinque prodotti-base, ovvero farina, olio, mozzarella di bufala, pomodori pelati e pomodorini, e pasta, altrettanti fornitori che potessero rappresentare al meglio la filiera agro-alimentare campana. Una scelta lungimirante: comunicare ai clienti, grazie a quello che amiamo definire “marketing della verità”, l’unicità di questi prodotti, continua a essere una chiave del nostro successo. Senza dimenticare l’atmosfera, la cortesia, il calore tipicamente partenopei, garantiti dal personale e dall’arredamento stesso del locale, impreziosito da quadri raffiguranti i principali monumenti della città.

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E quali sono stati i correttivi dal punto di vista della gestione?
Anche se molto apprezzato dalla clientela, quello di Pizza e Contorni era un modello economicamente non sostenibile. Solo la pizza aveva un margine operativo interessante: tutto il resto era molto più complesso da gestire dal punto di vista del food cost, soprattutto in considerazione del fatto che la singola pizzeria si era trasformata in una piccola catena. Inoltre, l’esperienza californiana mi aveva chiarito l’importanza del controllo di gestione, convincendomi del fatto che, se il ‘front office’ dell’attività poteva restare di taglio artigianale, tutto ciò che riguardava il ‘back office’ dovesse essere rigorosamente tracciabile e gestito da una struttura centralizzata come Sebeto, creata negli anni Novanta come Srl e successivamente trasformata in Spa. Con il primo Rossopomodoro aperto a Napoli, in Corso Vittorio Emanuele, abbiamo quindi introdotto un modello di business inedito per il settore, che si fonda su tre pilastri irrinunciabili: il controllo del food cost, del labour cost e delle spese generali, ovvero i costi fissi.

A partire dal 2006 avete aperto ai fondi di investimento: con quali obiettivi?
Abbiamo avviato questa esperienza con Quadrivio, primi in Italia tra gli operatori della ristorazione, per sostenere i nostri programmi di sviluppo. Anche oggi questo resta l’obiettivo. Va detto che i fondi non investivano nel nostro settore proprio perché non vi intravvedevano le necessarie caratteristiche di scalabilità e replicabilità che Rossopomodoro ha saputo sviluppare sin dall’inizio. A ciò si aggiungano altri due punti di forza: l’iconicità di un brand secondo solo a McDonald’s per awareness e l’internazionalità. Siamo attivi all’estero da più di dieci anni: il brand è presente in Usa, Brasile, Regno Unito, Danimarca, Islanda, Germania, Svezia, Portogallo e Spagna. E così, se Quadrivio e Change Capital Partners ci hanno accompagnato nella crescita e nella diversificazione del business, OpCapita ha deciso di concentrare gli sforzi sul rafforzamento, soprattutto in Italia, di Rossopomodoro.

Quali sono state le motivazioni che vi hanno portato a diversificare?
Alla base della diversificazione ci dev’essere la volontà dell’imprenditore di creare valore attraverso una novità, in grado di intercettare e quindi soddisfare le esigenze del cliente in un dato momento. Un esempio è Ham Holy Burger, che abbiamo lanciato sulla scia del boom dell’hamburger gourmet, facendone in pochi anni la catena di riferimento in questo segmento. Rossosapore è il nostro brand per il consumo d’impulso, legato soprattutto al canale autostradale, mentre Anema e Cozze firma ristoranti che esprimono le due anime della cucina partenopea: la pizza e il mare.

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Le materie prime sono un pilastro del vostro successo: come selezionate i fornitori?
Proprio in ragione dell’importanza che attribuiamo ai prodotti che utilizziamo, molti anni fa abbiamo capito l’importanza di codificare quella che definiamo la “filosofia dei cinque fornitori base”. Oggi le nostre farine sono di Caputo, il pomodoro pelato nasce nell’Agro Nocerino Sarnese, coltivato e inscatolato da piccole aziende conserviere, i pomodorini datterini gialli e rossi arrivano dalla Dop Piennolo del Vesuvio, la pasta è quella trafilata al bronzo del Pastificio Afeltra, la Mozzarella di bufala Campana è Dop, l’Olio Extra Vergine Dop di olive Minucciole arriva da Gargiulo di Sorrento. Questi prodotti, frutto di una filiera che monitoriamo con grande attenzione, li portiamo in tutto il mondo e li vendiamo a marchio Rossopomodoro anche attraverso il nostro canale e-commerce. Diverso è il discorso sul prodotto fresco: in alcuni casi, penso a certe cultivar di pomodoro che utilizziamo in quantità molto ridotte, ci avvaliamo di produttori selezionati ad hoc. All’estero, ovviamente, utilizziamo il prodotto fresco locale, spesso di eccellente qualità e varietà.

Come organizzate la logistica?
Ci avvaliamo di trasportatori che fanno da base logistica per noi, acquistano dai nostri fornitori i prodotti Rossopomodoro e si occupano della loro distribuzione nei nostri locali.

 

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