Smart working? 21mila aziende di ristorazione a rischio

Uno studio di Confesercenti stima un buco di 25 miliardi di euro in caso di trasformazione strutturale del lavoro da ufficio a casa, con 93.000 lavoratori che potrebbero perdere il posto
Smart working? 21mila aziende di ristorazione a rischio

Più che essere un’opportunità, lo smart working applicato in maniera strutturale rischia di diventare una vera sciagura per il mondo della ristorazione. Ad affermarlo è uno studio di Confesercenti secondo il quale, a fronte di un risparmio potenziale di 12,5 miliardi l’anno, il passaggio al lavoro in modalità smart farebbe perdere 25 miliardi di euro di fatturato alle attività della ristorazione, del commercio, del turismo e dei trasporti, in particolare nei capoluoghi e nei grandi centri urbani.

MENO RISTORANTI, PIÙ SPESA DOMESTICA

Lo studio evidenzia che in Italia, prima della pandemia, i lavoratori in modalità smart erano solo 184.000, e salivano a quota 1,3 milioni (meno del 6% del totale) includendo chi utilizzava la propria abitazione come luogo di lavoro secondario od occasionale. Il picco è arrivato ad aprile 2020 quando, nel pieno del primo lockdown, gli smart workers erano saliti a 9 milioni per poi scendere a 4,5 milioni al termine dell’emergenza.

Confesercenti stima che un regime di smart working strutturale, con adesione su base volontaria, coinvolgerebbe 6,2 milioni di lavoratori, impiegati soprattutto nella pubblica amministrazione e nei servizi. Questa trasformazione determinerebbe un aumento della spesa per la tecnologia legata al lavoro da casa e una contrazione di consumi per la cura della persona e per l’abbigliamento. Inoltre, evidenzia l’associazione, i lavoratori agili consumano un minor numero di pasti fuori, utilizzano meno i trasporti e le attività ricettive ma allo stesso tempo determinano un aumento della spesa per prodotti alimentari e utenze domestiche.

Il bilancio tra maggiori e minori consumi, però è negativo: se diventasse strutturale, lo smart working porterebbe le famiglie a spendere -9,8 miliardi di euro l’anno rispetto ai livelli pre-pandemia. L’impatto per le imprese danneggiate sarebbe enorme: si stimano 21.000 chiusure d’impresa e oltre 93.000 licenziamenti. Le zone più colpite sono i grandi centri del business, Milano in primis.

PERDITE A PRANZO E A CENA

I comparti più colpiti della ristorazione sono quella collettiva, per l’assenza di clienti nelle mense aziendali, e i bar posizionati nelle zone strategiche delle città, ma anche i ristoranti scelti per la pausa pranzo. “Lo smart working – affermano Gianmarco Venuto e Filippo Sironi, fondatori de Il Mannarino (macellerie di quartiere con cucina con quattro location a Milano, tra cui l’ultima inaugurata recentemente in Alzaia Naviglio Grande sui Navigli, e una ad Arcore) – rappresenta un grande ostacolo per il settore della ristorazione: non recandosi in ufficio i dipendenti non frequentano i locali durante le pause pranzo, per noi momento strategico, non si trattengono per cena e non organizzano fisicamente incontri business con i clienti e i colleghi. Tutto questo ha avuto un impatto enorme sul retail del food”.

I due founder evidenziano come l’assenza di confronto diretto, fattore indispensabile per la crescita dei team, possa inoltre ridurre la produttività dei lavoratori e vada a ledere alla salute psicologica delle persone e alla società. “Possiamo comunque comprendere un turno settimanale di smart working su cinque; anche le più grandi aziende si stanno muovendo in questa direzione, poiché hanno registrato dei cali di produttività e stanno richiamando il personale nelle sedi” affermano Venuto e Sironi.

MILANO IN VETTA

Il risparmio di costi e tempi di spostamento rappresenta un elemento a vantaggio dello smart working, che è certamente attrattivo per i lavoratori precedentemente costretti a lunghi spostamenti con mezzi privati o pubblici per recarsi in ufficio. 

Secondo un’indagine svolta nel 2020 da Trade Lab, il 40% di coloro che avevano provato lo smart working avevano intenzione di aumentare la propria quota di tele-lavoro anche con il progressivo ritorno alla normalità, e proprio Milano aveva conquistato il primato in quanto piazza più attiva in questo senso (52%), con ripercussioni su tutto l’indotto di bar e locali e, più in generale, sull’offerta (pranzi, colazioni, pause e in parte anche aperitivi) per i lavoratori.

LE PROPOSTE DI CONFESERCENTI

I fondi destinati dal Pnrr ai progetti di rigenerazione urbana ammontano a 3,4 miliardi di euro e sono stati in gran parte già “prenotati”, ma Confesercenti ritiene che sia indispensabile aprire una una riflessione sul tipo di rigenerazione che si sta affermando spontaneamente e che sta provocando una redistribuzione di attività tra diverse zone della città. A pagarne le spese sono i centri storici e le aree che rappresentavano la destinazione del pendolarismo quotidiano, mentre a trarne beneficio sono i quartieri periferici e dei centri urbani di minori dimensioni.

Confesercenti propone agli enti locali di lanciare bandi per la rigenerazione urbana su piccola scala, che abbiano a riferimento aree circoscritte e da affidare a raggruppamenti di imprese commerciali, costruendo una progettualità per la nuova città e il nuovo commercio. L’associazione propone inoltre la creazione di un’Agenzia per il sostegno dell’impresa di vicinato e delle imprese diffuse, una collaborazione tra settore pubblico e associazioni di imprese per dare vita ad imprese efficienti, preparate, integrate con il territorio, rispettose dell’ambiente e in linea con le nuove abitudini di vita e di consumo degli italiani.

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