Ristorazione, tutti i vantaggi dell’essere sostenibili

La sostenibilità a 360 gradi è partita dall'Emilia Romagna e ha dato vita, grazie all'iniziativa di Università Cattolica di Piacenza, a una app dove i locali si auto-certificano e sono monitorati dagli utenti. Intanto cresce la raccolta delle eccedenze da parte di Banco Alimentare
Ristorazione, tutti i vantaggi dell’essere sostenibili

La sostenibilità nella ristorazione è un impegno su tutti i fronti. Passa attraverso l’impostazione di un menu, dell’organizzazione interna, delle scelte di filiera e della limitazione degli sprechi. Può essere premiante in termini economici, per quanto sia impegnativa, ed è sottoposta al giudizio dei clienti attraverso gli strumenti digitali.

L’argomento è stato affrontato durante il talk “Ristorazione sostenibile a 360°”, moderato da Monica Nastrucci (Gruppo Food), alla presenza della docente universitaria Lucrezia Lamastra, professore associato di Chimica agraria presso Università Cattolica di Piacenza, e di Nicola Ligasacchi, corporate marketing della Fondazione Banco Alimentare Onlus.

Ruolo attivo del consumatore

Abbiamo iniziato a occuparci di sostenibilità nel 2008. All’epoca se ne sapeva poco e io stessa dovetti cercare informazioni su Google” ha raccontato Lamastra, la cui attività di ricerca prese il via dai prodotti agricoli e dalla viticoltura per poi estendersi alla ristorazione, ambito per il quale non si potevano – data la complessità del comparto – applicare i criteri elaborati per la parte agricola e alimentare. Il problema principale era legato alle misurazioni valide per l’attività di ristorazione, difficilmente rendicontabili. Per questa ragione, è stata scelta una soluzione differente: un programma volontario di certificazione, denominato 360° sostenibile, frutto della collaborazione tra l’ateneo piacentino e la Regione Emilia Romagna. Ed è stato impostato come sistema di certificazione adatto ad ogni tipo di ristorante dell’Emilia-Romagna ed estendibile a tutta Italia.

Ad ogni ristoratore è stato chiesto di rendicontare l’impegno del ristorante su ciascun punto di un decalogo che comprende: 1) Utilizzo di prodotti da agricoltura sostenibile e stagionali; 2) menu trasparenti; 3) uso di materiali ecocompatibili; 4) realizzazione di menu sostenibili adatti a tutti; 5) contrasto dello spreco di cibo; 6) ottimizzazione e monitoraggio dei consumi; 7) team building e crescita delle risorse umane nella ristorazione; 8) azione per il bene del territorio in cui opera; 9) azione responsabile verso tutti; 10) attività di rete con la filiera.

La prima risposta dei ristoratori fu negativa, perché l’adesione richiedeva l’ennesimo sforzo in termini di tempo ed economie. Poi la semplicità del programma e l’importanza assunta dall’argomento, in particolare con la pandemia, hanno spinto gli imprenditori del settore a farsene carico”.

I risultati del progetto pilota partito dall’Emilia Romagna e con la Regione come soggetto garante dei risultati hanno portato alla realizzazione di una app interattiva con i clienti, i quali possono verificare se le informazioni presenti nell’autocertificazione corrispondono al vero. In caso contrario, è l’utente stesso a poter segnalare anomalie e false dichiarazioni.

Lo sviluppo e la gestione del programma spettano all’Università Cattolica, che si è avvalsa della collaborazione di una Onlus piacentina. Al di fuori del territorio emiliano-romagnolo, il garante dei risultati presenti nelle auto-dichiarazioni spetta a un ente terzo. La app è scaricabile e utilizzabile da due anni. Da questo precedente è derivata non solo una maggiore consapevolezza della sostenibilità tra i ristoratori, ma anche la realizzazione di momenti di rete – attraverso l’operatività dell’Università – che hanno portato gli imprenditori della ristorazione a condividere le tematiche e ad alzare ulteriormente l’asticella dell’impegno.

Ogni anno, organizziamo un evento per realizzare ricette di recupero, riutilizzando gli scarti destinati a diventare rifiuto. E alcuni di questi piatti sono rimasti nei menu dei ristoranti” ha evidenziato la docente.

La svolta legislativa ha alimentato la svolta

L’argomento della riduzione dello spreco è centrale per Banco Alimentare, la cui mission è al tempo stesso la lotta alla povertà e allo spreco e che si concretizza con un’azione di raccolta delle eccedenze presso la grande distribuzione, attività iniziata nell’ormai lontano 1989, per poi essere donate ai bisognosi. Dal 2003, Banco Alimentare ha avviato la raccolta anche nell’ambito dell’Horeca. Il progetto è stato denominato Siticibo e ha rappresentato la prima applicazione italiana della Legge 155/2003 (cosiddetta legge del Buon Samaritano) con ha lo scopo di recuperare il cibo cotto e fresco in eccedenza nella ristorazione organizzata, dagli esercizi al dettaglio fino agli hotel, alle mense aziendali e ospedaliere, ai refettori scolastici.

Nel 2021 – ha raccontato Nicola Ligasacchi – abbiamo complessivamente recuperato 126 mila tonnellate di cibo, assecondando una richiesta in crescita costante perché in Italia ormai siamo prossimi alle sei milioni di persone che vivono sotto la soglia di povertà. Di queste 126, l’apporto del programma Siticibo è stato di poco inferiore al 15%, grazie a una rete che oggi raggiunge circa 1.800 punti di raccolta”.

Il recupero di queste eccedenze, composte da cibi freschi lavorati e di prodotti già cotti, è più impegnativo rispetto al compito analogo legato al canale della Gdo, sia per la loro conservazione sia per il gran numero delle imprese donatrici. Occorre disporre di una logistica impostata a stretto raggio per ridurre i tempi tra la raccolta e la consegna ai bisognosi. Per gli alimenti non sottoposti ad abbattimento esiste una procedura denominata Fast 60, nome che deriva dal fatto che tutto deve essere gestito entro un’ora. Il donatore deve porzionare i cibi in apposite vaschette e conservarli a temperatura idonea. Inoltre, sono esclusi prodotti particolarmente delicati e che possono – qualora non siano stati regolarmente conservati – nuocere alla salute di chi li consuma.

Le operazioni logistiche vengono gestite attraverso automezzi refrigerati, in assenza dei quali si ricorre a termo-box frutto di donazioni e che consentono il mantenimento della catena del freddo. Prima della legge “Buon Samaritano”, ogni responsabilità di filiera ricadeva sul soggetto donatore, che di conseguenza era indotto a non donare; la nuova normativa ha risolto questa problematica stabilendo una sorta di auto-responsabilità per le Onlus e gli operatori, determinando un forte incremento delle donazioni. Un successivo provvedimento legislativo, la cosiddetta legge Gadda (166-2016), ha ulteriormente alimentato il circuito attraverso la distinzione tra data di scadenza di un prodotto e data di consumo preferibile entro un certo termine, rendendo possibile la donazione degli alimenti appartenenti alla seconda categoria. Nel frattempo, Banco Alimentare ha potenziato le azioni di raccolta anche utilizzando la propria rete internazionale.

Un esempio arriva dall’accordo con Costa Crociere per le eccedenze generate a bordo e prelevate dai volontari quando le navi entrano in porto, in Italia e all’estero. Un altro fronte particolarmente interessante è stato aperto con Federcongressi e prevede il ritiro delle eccedenze alimentari degli eventi. Quest’ultimo accordo è diventato un’opportunità per gli stessi organizzatori di catering, perché consente loro di rientrare nella categoria di evento sostenibile, e rappresenta una best practice riconosciuta dall’Unione Europea.

Oggi – ha precisato Ligasacchi – i menu sono sempre più ideati dagli organizzatori secondo una logica di economia circolare, rendendo più facile il recupero delle eccedenze”.

Le prossime sfide? Sono legate al prodotto carne, che continua a essere uno degli alimenti più difficili da salvare dalla pattumiera in caso di mancato consumo.

Stiamo lavorando con una delle maggiori catene italiane per trovare la formula ideale per aumentarne i quantitativi, consapevoli di quanto la carne sia importante per la dieta umana” ha concluso l’esponente di Banco Alimentare.

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